Ciao sono Patrick e mi piace correre.
La mia vita, fin da bambino è una
corsa continua, tutti i miei amici d’infanzia correvano come me, ma io ero il
più veloce. La scuola era distante 6 miglia dal villaggio e tutti i giorni,
cartella in spalla attraversavamo la savana per arrivare prima della
campanella, ed io ero sempre il primo.
Ricordo la mattina fresca e
soleggiata, la mamma, bellissima con quel fazzoletto in testa colorato, aveva
sempre un sorriso e ogni tanto anche uno scappellotto, ma era più bella del
sole. Mio papà faceva il meccanico in città, andava a lavoro con una vecchia
moto rumorosa.
Spesso la sera mi portava a fare un giro. Era divertentissimo. Quella
moto era l’unica cosa più veloce di me nel villaggio.
Ricordo il nonno, vero guerriero
Masai, passava le giornate a pascolare il bestiame e cantare vecchie canzoni.
La sera ci raccontava tante storie di guerra e tribù, leoni, caccia, e feste
nel villaggio. Non aveva carezze per nessuno, solo un sorriso simpatico e
sdentato. Era l’ultima persona che salutavo la mattina mentre seduto, sempre
col suo bastone, scrutava bestiame e orizzonte.
La scuola mi piaceva. Ero molto
bravo soprattutto in matematica e scienze. Il nostro maestro ci prendeva a
bacchettate nelle mani quando sbagliavamo qualcosa. Quante ne ho prese! Ma mai
in matematica e scienze.
L’ora della ricreazione si
passava a dar calci ad un pallone di stracci. Io facevo il portiere perché come
calciatore ero una schiappa! Mi divertiva di più correre attorno alla scuola.
Avevo il record di giri attorno alla scuola durante la ricreazione. 27 giri!!
Nessuno mi ha mai battuto per tutto l’anno scolastico.
Solo il mio maestro era più
veloce di me. Lui aveva fatto tante maratone
in giro per il mondo, qualcuna
l’ha pure vinta e ogni tanto ci faceva vedere le sue medaglie e tante foto. Spesso
pero, nelle maratone importanti faceva la lepre per quelli più forti di lui.
Raccontava spesso che al 32 km doveva rallentare per dare spazio al suo
compagno. Spesso pero rallentava giusto il tempo per farlo passare e farsi dare
10 metri. Non è mai arrivato al traguardo stremato dalla fatica. A lui andava
bene così perché con quelle gare e gli ingaggi si è pagato gli studi fino alla
laurea.
Un giorno venne a scuola un
signore biondo e ben vestito. Conosceva bene il mio maestro. Al suo arrivo in
classe si abbracciarono e chiacchierarono un po’. Spesso quel signore mi
guardava mentre il maestro gli diceva tante cose.
Alla fine della lezione il
maestro mi presentò quel suo amico. Si chiamava Patrick come me e veniva
dall’Irlanda. Parlava molto bene inglese. Parlava pure l’italiano poiché aveva
studiato e lavorato a Roma e Rieti. Entrambi mi dissero che mi avrebbero
accompagnato a casa con la Jeep del maestro. Quel giorno arrivò per primo mio
cugino Geteye. L’unica volta.
All’arrivo a casa vidi dalla jeep
mio nonno mentre riportava il bestiame al villaggio. Sempre col suo sorriso
simpatico e sdentato mi salutò con un cenno della mano. Arrivai a casa e trovai
mia madre fuori dalla porta. Si sforzava di sorridere ma notai subito che aveva
appena pianto. Mio padre arrivo di li a qualche minuto, sentì il rumore della
moto. Era strano perché di solto arrivava a casa solo poco prima l’imbrunire.
Ci sedemmo tutti attorno al
tavolo. Di solito arrivavo a casa affamato come un leone ma , la faccia della
mamma e quel rincasare anticipato del papà mi aveva chiuso lo stomaco.
Parlo per primo il signor
Patrick. Mamma e Papà lo conoscevano già. Con la mamma ci aveva già parlato la
mattina e con il papa la sera prima mentre io ero già a letto.
Alla fine capì tutto. Non sapevo se
ridere o piangere. Guardavo mamma con il viso solcato dalle lacrime, mio padre
preoccupato ma fiducioso. Il mio maestro entusiasta, il nonno non so ma ricordo
che mi diceva sempre di inseguire un sogno e di inseguirlo con pazienza e
determinazione, con la stessa pazienza e determinazione del leone e del ghepardo quando cacciano la
gazzella.
Guardai il mio maestro decisi
d’impeto. Si! Voglio andare in Europa e in America per diventare un maratoneta!
Dopo quel volo in aereo tutto
cambiò radicalmente. Arrivai in Italia.
La giornata era scandita da
studio, lavoro e allenamento. Non dovevo più correre per andare a scuola.
Le scuole, dalle medie
all’università erano vicino alla pista in tartan, ottima per gli allenamenti
anche se io preferivo correre nelle strade sterrate e polverose. Gli
allenamenti erano duri ma mi veniva tutto facile. Mi piaceva primeggiare. Anche
a scuola andavo bene mi piaceva studiare non solo matematica e scienze ma anche
la storia e la letteratura italiana
Prima lepre poi stella di prima
grandezza giravo il mondo e vincevo quasi tutte le gare minori. Quelle vittorie
e quei piazzamenti, uniti agli ingaggi mi permisero di laurearmi in ingegneria
e di insegnante ISEF.
Saltai per ben 2 volte le
olimpiadi a causa di un brutto infortunio. Quel periodo lo ricordo con enorme
dispiacere anche se sicuramente non andai via dal mio villaggio per quello.
Almeno 2 volte l’anno tornavo in
Kenya per trovare i miei genitori e i miei fratelli. Ero riuscito a comprargli
una casa nuova in città. Loro volevano trasferirsi da me in Italia ma io feci
di tutto perché rimanessero in Kenya.
Casa nuova, la mamma sempre bella
nonostante l’età e sempre con quel suo bel fazzoletto nuovo in testa tutto
colorato. Papa riuscì ad aprirsi una officina tutta sua in città. Tanto lavoro
ma lui era felice. La moto era sempre la stessa anche se più lucida e meno
rumorosa. A volte, nei pochi giorni di permanenza dai miei passavo un po’ di
tempo a girare con quella moto rubando del tempo ai noiosissimi allenamenti
messi in tabella dal coach anche quando ero in vacanza. Le ripetute in salita
con quella motoretta erano una cosa bellissima! Il nonno morì mentre ero in
ritiro in negli Stati Uniti per una grossa competizione. Ricordo che, ricevuta
la telefonata di mia madre, saltai l’allenamento della mattina e mi misi a
piangere, chiuso in albergo per almeno mezz’ora. La settimana successiva dedicai
la vittoria dei 10.000 al sorriso divertente e sdentato del grande guerriero
Masai.
Il mio maestro, fa sempre il
maestro a 6 miglia dal villaggio ed è sempre contento di farlo. Con una mano la
bacchetta e con un occhio a scrutare i bimbi che fanno il giro della scuola di
corsa. Dice che, ancora nessuno ha superato il record dei 27 giri.
Mio cugino Geteye si è trasferito
in Germania. Anche lui si è laureato e, tra una gara e l’altra, insegna i
bambini a correre.
Spesso ci sentiamo al telefono.
Lui è felice li e con i soldi del lavoro e delle gare ha trasferito e sistemato
tutta la famiglia.
Io no. “L’Italia, l’Europa e
l’America mi hanno dato tanto ma sono figlio di mamma Africa e nipote di un
grande guerriero Masai e voglio tornare li dove son nato”
Ora sono un bravo insegnante in
un liceo a Nairobi, ho sposato una bellissima donna che fa il medico e ho 3
bellissimi bambini. Insegno matematica, Inglese ed educazione motoria. Ora la
mia vita è scandita dal lavoro la famiglia e gli allenamenti dei miei ragazzi.
Appena ho un attimo di tempo
libero torno al mio villaggio e mi faccio quelle sei miglia di corsa.
La casa dei miei è ancora li
anche se ora ci abita un mio cugino. Anche il grande guerriero Masai e ancora
li. Dal cielo e senza bastone, scruta il bestiame e l’orizzonte sempre col suo
sorriso divertente e sdentato.
Quando percorro quel tratto vado
sempre a 6 minuti al km. Voglio godermi tutto il tragitto.
Mi volto in dietro e
vedo Geteye che, ansimante tenta di riprendermi, ora ce la fa perché voglio
andar lento. Arrivo alla scuola e mi faccio almeno 2 – 3 giri attorno per poi
ritornare al villaggio questa volta un po’ più veloce, con ancora la cartella
in spalla e quel sorriso da bambino.
perché sono Patrick e mi piace
correre.
Era già bello su endo, adesso é ancora meglio!
RispondiEliminaLello! grandioso! avevo detto a me stesso che avrei dovuto rileggere tutto, poiché non so perché ma qui la storia ha un altro sapore... ci crederai che sono in ufficio e ho un nodo alla gola... e mi chiedo perché noi tutti non siamo mai soddisfatti con ciò che abbiamo e perché non ci fermiamo un po' a guardare tutte cose veramente belle della vita. Patrick è un vero maratoneta... io sono un maratoneta della vita... non mi metto a confronto con lui, perchè sicuramente io ho vissuto una vita molto più "alleggerita" del carico mondano grazie a che ho vissuto in un paese che per assurdo, è uno dei paesi più ricchi al mondo... ma posso capire cosa si sente quando un giorno ad oltre 15.000 km di casa tiri su la cornetta ed una voce piangente ti dice che la mamma no c'è più, come successo a Patrick col suo nonno... Questa e una meravigliosa storia ed esempio di vita... molto toccante ed immagino che lui se la starà godendo da matto la sua terra... io mi sono messo a pensare come sarebbe tornare... ma sai... non saprei cosa dire perché ormai il mio cuore e spezzato a meta, una su ogni sponda dell'Atlantico... come farei a vivere la, pensando agli amici che lascio qua?... in somma... sei riuscito a toccare le fibre più interne del mio cuore amico mio! GRAZIE!
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