Ogni anno, per ben due volte, i Nuoresi si
recano a piedi, in pellegrinaggio, al Santuario di San Francesco di Assisi in
Lula.
Non mi soffermerò sui
particolari religiosi, culturali o sulle tradizioni legate a tale
manifestazione di fede, visto che non me ne sono mai curato e mi interessano
veramente poco.
Ho un rapporto
particolare con la religione, che ricalca quello di Dylan Dog con gli alieni: “non ci credo, ma ci spero”. Odio le
pompose manifestazioni di devozione – spesso di facciata – e se proprio devo
avere un rapporto con entità sovraordinate, che non siano il mio capo al
lavoro, preferisco relazionarmici senza intermediari.
Per semplificarla, io ho
il Gesù Personale dei Depeche Mode, se ci devo parlare lo faccio. Punto.
Comunque, nonostante un
perdurante disinteresse verso le radici dell’evento, vi prendo parte da ormai 4
o 5 anni. L’anno scorso ci sono andato addirittura due volte, qualche volta ho
portato amici per chiacchierare, altre volte il cane, così poteva fare tanta
pipì in campagna.
Il pellegrinaggio parte
da Nuoro alla mezzanotte di un giorno che solitamente sbaglio ad indovinare, ma
che cade comunque ad inizio Maggio e ad inizio Ottobre, su un percorso che
parte su asfalto, si addentra nelle campagne, passa nel fitto della macchia
mediterranea, scala alcune cime e corre lungo i crinali che portano a Lula, per
poi tornare su asfalto e quindi di nuovo su sterrato negli ultimi km.
Vi partecipa veramente tanta
gente. Chi per diletto, chi per vera fede, chi per sciogliere un voto.
C’è chi
la fa scalzo. C’è chi la fa a cavallo.
Io stavolta l’ho fatta
correndo.
Negli anni precedenti andavo su a Lula giusto
per espiare fisicamente le mie colpe, ma senza grande convinzione.
Quest’anno invece due
amici hanno bisogno di tanta fortuna. Sono quelle cose per le quali ti rodi, non
puoi far nulla e pensi che il destino a volte è stronzo e ci vorrebbe una botta
di fortuna. Così, in maniera del tutto irrazionale ho pensato/pregato:
“non funziona di certo, ma se vale la regola del gratta e vinci è meglio
tentare, non si sa mai.
San Francesco di Assisi domiciliato in Lula, io vengo
su da te. Tu, se esisti e se realmente fai di questi favori, mettici del tuo.
Io, vista l’entità del favore richiesto verrò su a modo mio. I cavalli non li so
guidare, di venir scalzo non se ne parla nemmeno, ci sono troppe cacche di
vacca lungo il percorso.
Verrò correndo. Non ci credi? Beh, tu aspetta…”
Così alle 23:40 del 30
aprile parto da casa equipaggiato da vero principiante:
- pantaloni lunghi da
corsa, quelli che secondo Lauretta mi fanno sembrare Diabolik;
- maglia tecnica a maniche lunghe e
catarinfrangente, non si sa mai che le auto tentino di schiacciarmi;
- zaino da scuola con
dentro di tutto: barrette energetiche, telo termico, fischietto, maglie e calze
di ricambio, giacca antivento, macchina fotografica, telefono per le emergenze.
- torcia frontale
(gentile dono di Federico, funziona perfettamente).
So già che il problema
non sarà il passo da tenere, la difficoltà del percorso o il buio della notte.
Il problema sarà – almeno inizialmente – l’ignoranza della gente.
Per i primi km, almeno
fino al 4°, ho dovuto superare ragazzine sguaiate, balentes vellutati e signore
maleducate, tutti accomunati da un unico sport: ridere di quello scemo che
andava di corsa, dicendone di tutti i colori. Vabbè, anche questa a volerla
interpretare, può essere metafora di fede. A quanto pare l’aveva già capito
qualcun’altro svariate migliaia di anni fa, che la gente difficilmente si fa i
cazzi propri:
“Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi (Mt 5,11-12)”.
“Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi (Mt 5,11-12)”.
Io mi rallegro ed esulto
quando lì supero tutti e rimango, finalmente, da solo nel nulla. Così al buio
posso sentire solo il rumore dei miei passi, guardare serenamente quella linea
continua della Strada Provinciale sulla quale corro, illuminata giusto nei
pochi metri che mi precedono dalla luce della mia frontale.
Poi però sbaglio
incrocio, mi fiondo in una stradina sterrata completamente sbagliata e, prima
di accorgermi dell’errore, la percorro per almeno 2 km. Mi volto e vedo le
lucine dei pellegrini sull’altro versante della conca dove stiamo scendendo.
E lì ho detto tante di quelle bestemmie che forse non basterà arrivare a Compostela per farmele abbonare tutte.
E lì ho detto tante di quelle bestemmie che forse non basterà arrivare a Compostela per farmele abbonare tutte.
Torno indietro e mi
maledico, pensando che mi dovrò sottoporre nuovamente al supplizio del pubblico
ludibrio. Vabbè, fai finta di nulla
Marié, corri che ti passa.
Il secondo tratto di risate è pure peggio del primo, ma almeno ho occasione di sorridere, grazie ad un ragazzino sveglio.
Sul cavalcavia di Marreri una signora mi vede passare e si sente in dovere di riprendermi: “Qui si viene a pregare, non si viene a correre”. Fortunatamente sto zitto.
Le risponde un ragazzino che viaggia lì vicino: “E perché? Tu pregando stai?!”.
Supero facilmente i km di
strada che costeggiano la S.S. 131 e arrivo alla croce che segnala l’inizio del
tratto più duro. Ho fatto poco meno di 19 km, tutti su asfalto o su sterrato
compatto, senza buche.
Intorno alla croce c’è un
falò, qualche fedele stramazzato al suolo, qualcuno del priorato che ti offre
da bere.
Chiedo dell’acqua, me la danno ma mi fanno notare che il bicchiere dell’acqua lo vendono a 30 euro, mentre il vino lo danno gratis. Sorrido, bevo l’acqua, ringrazio e riparto. Da qui inizia la parte divertente.
Sterrato, fango, buche, continui strappi. Mi accorgo che in discesa vado meglio che in salita, nonostante il buio. Se corro le ginocchia non si lamentano come quando cammino.
Chiedo dell’acqua, me la danno ma mi fanno notare che il bicchiere dell’acqua lo vendono a 30 euro, mentre il vino lo danno gratis. Sorrido, bevo l’acqua, ringrazio e riparto. Da qui inizia la parte divertente.
Sterrato, fango, buche, continui strappi. Mi accorgo che in discesa vado meglio che in salita, nonostante il buio. Se corro le ginocchia non si lamentano come quando cammino.
Purtroppo c’è foschia e
luna calante, peraltro ancora bassa in cielo. Non si vede una mazza, così
decido di optare per una saggia camminata veloce anche perché, se mi faccio
male e aspetto il soccorso della signora anti-running, mi sa che posso stare
fresco.
Sono talmente preoccupato
dal torrente che dovrò superare al 21° km che non bado a dove metto i piedi, così
finisco dritto dritto in una pozzanghera nascosta dall’erba, bagnando scarpe e
calze.
Altra razione di bestemmie. Di questo passo mi toccherà cambiare fede per cercare altri pellegrinaggi.
Altra razione di bestemmie. Di questo passo mi toccherà cambiare fede per cercare altri pellegrinaggi.
Il torrente non crea problemi, non è in piena e il ponticello in pietra è praticabile. La sorpresa è tutta nello scoprire un gruppetto di quattro persone che mi precedono, sicuramente sono partite prima degli altri pellegrini. Le raggiungo che stanno cercando di capire da che parte andare.
Davanti a noi si aprono due strade. Quella a destra è piena di merda e delle vacche che l’hanno prodotta. Opto per la strada a sinistra, scatto, verifico che sia la strada corretta e quindi mi volto ad avvisare i quattro con un bel fischio e l’annuncio: “Ooooh, mì che è qua!”.
Per verificare la
direzione ho cercato i segni lasciati nel corso degli anni dai pellegrini,
soprattutto la presenza di pezzetti di nastro per cantieri, appeso qua e là tra
i cespugli. Fino a quel punto ancora si poteva trovare, svolazzante su qualche
arbusto. Nel tratto successivo non se ne vedrà più, la solita sfacciata
fortuna.
Da solo, avamposto dei marciatori, mi inoltro nel tratto di poco più di un km che separa dal crinale delle colline che conducono a Lula. Si sale, in maniera ripida, tra due costoni. Il percorso consente il passaggio di una sola persona ed è fiancheggiato da due crepe nel terreno profonde due metri circa. Se ci caschi dentro sono guai, quindi cerco di fare attenzione e cammino badando unicamente ai 50 centimetri che precedono i miei piedi.
Purtroppo l’esplosione della primavera ha fatto crescere delle piante altissime, mi arrivano all’altezza del petto e non consentono di seguire il percorso già tracciato dai piedi di migliaia di pellegrini, nel corso degli anni precedenti.
Viaggiare da soli, di notte,
mi avvicina molto all’infanzia e alla paura del buio. Ogni punto della macchia
produce un rumore, certi uccelli notturni fanno dei versi allucinanti.
Ma niente di così spaventoso quanto le vacche. Le vacche? Ehm, si.
Ma niente di così spaventoso quanto le vacche. Le vacche? Ehm, si.
Una volta arrivati in cima ho dovuto procedere lungo la linea del crinale in direzione Lula, superando vari cancelli di alcune aziende agricole che hanno i pascoli su quei monti. Così, nel buio, mi sono d’improvviso ritrovato davanti a decine di lucine gialle che mi guardavano.
Io vedevo enormi cumuli
di bistecche non ancora macellate, loro vedevano un alieno con un occhio giallo
in testa. Sicuramente erano più spaventate loro, il rumore che hanno prodotto
nella fuga è qualcosa di raggelante: ho pensato a Pamplona, al tumulto, ad
altri corridori più folli di me: “Mamma, se queste fuggono nella mia direzione
difficilmente riuscirò a raccontarla”.
Fortunatamente hanno
preso la via dei Dodo, decidendo di immolarsi lungo il ripido pendio che si
apriva sulla nostra destra.
Lo spavento mi fa aumentare
l’andatura, cammino ad un passo allucinante per le condizioni alle quali
procedo. Voglio solo arrivare alla fine dei pascoli, che dovrebbe coincidere
con il famigerato “Pettorru de Tziu Moro”, una salita spacca gambe prima della
Girandola, località dove solitamente i componenti del priorato offrono ristoro
ai pellegrini.
O io vado troppo veloce o
la crisi colpisce anche il priorato, perché alla Girandola non c’è nessuno.
Procedo, tanto conosco la strada, ormai manca poco al ritorno sulla Strada
Provinciale. Peccato che prima debba affrontare due cavalli, colpiti dallo
stesso dramma esistenziale delle vacche.
Al 25° km finalmente
ritorno sulla Terra. Quella che vedo è una lunga distesa di bitume, tutto in
salita, ma pur sempre bitume. Mi ci fiondo sopra e ricomincio a correre,
naturalmente al buio, che qui non c’è mica traccia di illuminazione stradale.
Manca poco al Santuario,
circa 4 km da dividere equamente tra asfalto e sterrato. La faccio correndo
quasi tutta, non per fatica che non mi consente di accelerare, ma per paura di
mettere qualche piede in fallo, nefasta possibilità che mi consiglia di riportare a casa non solo
la pellaccia, ma anche l’uso corretto di caviglie, ginocchia ed altre
articolazioni.
Arrivo al Santuario di
San Francesco dopo 30 km e 3 ore e 44 minuti di corsa/camminata. E’ immerso nel
silenzio, probabilmente i membri del priorato dormono tutti nelle cumbessias
che circondano la piccola chiesa. Del priore, che solitamente accoglie ogni
singolo pellegrino, neanche l’ombra. Anche il portone della chiesa è chiuso, la
prima messa si terrà alle 6 del mattino, almeno credo.
Così – nell’attesa della mia Santa Lauretta, che sta venendo a prendermi in auto, rinunciando al sonno delle 4 del mattino – mi limito a sorridere, guardarmi intorno e scattare qualche foto, immerso nella pace assoluta.
“Santu Franzì” penso/prego, “te l’avevo detto e l’ho fatto. Ora tocca a te”.
bella esperienza Marieddu .... ma ora capisco : le chiappe non ti fanno male per aver corso sullo sterrato, ma perche le hai strette troppo forte per la paura !!!
RispondiEliminaBravo Mario! fantastico relato! non potevi raccontarlo in modo migliore! e poi, mi fa anche un po' d'invidia! Grande amico!... io al tuo posto alla vecchia l'avrei mandato a ca...lpestare la cacca! :)
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