giovedì 2 maggio 2013

Tuesday night in San Francisco

Ogni anno, per ben due volte, i Nuoresi si recano a piedi, in pellegrinaggio, al Santuario di San Francesco di Assisi in Lula.
Non mi soffermerò sui particolari religiosi, culturali o sulle tradizioni legate a tale manifestazione di fede, visto che non me ne sono mai curato e mi interessano veramente poco.
Ho un rapporto particolare con la religione, che ricalca quello di Dylan Dog con gli alieni: “non ci credo, ma ci spero”. Odio le pompose manifestazioni di devozione – spesso di facciata – e se proprio devo avere un rapporto con entità sovraordinate, che non siano il mio capo al lavoro, preferisco relazionarmici senza intermediari.
Per semplificarla, io ho il Gesù Personale dei Depeche Mode, se ci devo parlare lo faccio. Punto. 

Comunque, nonostante un perdurante disinteresse verso le radici dell’evento, vi prendo parte da ormai 4 o 5 anni. L’anno scorso ci sono andato addirittura due volte, qualche volta ho portato amici per chiacchierare, altre volte il cane, così poteva fare tanta pipì in campagna.
Il pellegrinaggio parte da Nuoro alla mezzanotte di un giorno che solitamente sbaglio ad indovinare, ma che cade comunque ad inizio Maggio e ad inizio Ottobre, su un percorso che parte su asfalto, si addentra nelle campagne, passa nel fitto della macchia mediterranea, scala alcune cime e corre lungo i crinali che portano a Lula, per poi tornare su asfalto e quindi di nuovo su sterrato negli ultimi km.
Vi partecipa veramente tanta gente. Chi per diletto, chi per vera fede, chi per sciogliere un voto. 
C’è chi la fa scalzo. C’è chi la fa a cavallo.

Io stavolta l’ho fatta correndo.




Il percorso

Profilo altimetrico

Come vi dicevo, ho un rapporto particolare con la fede. 
Negli anni precedenti andavo su a Lula giusto per espiare fisicamente le mie colpe, ma senza grande convinzione.
Quest’anno invece due amici hanno bisogno di tanta fortuna. Sono quelle cose per le quali ti rodi, non puoi far nulla e pensi che il destino a volte è stronzo e ci vorrebbe una botta di fortuna. Così, in maniera del tutto irrazionale ho pensato/pregato: 

non funziona di certo, ma se vale la regola del gratta e vinci è meglio tentare, non si sa mai. 
San Francesco di Assisi domiciliato in Lula, io vengo su da te. Tu, se esisti e se realmente fai di questi favori, mettici del tuo. 
Io, vista l’entità del favore richiesto verrò su a modo mio. I cavalli non li so guidare, di venir scalzo non se ne parla nemmeno, ci sono troppe cacche di vacca lungo il percorso. 
Verrò correndo. Non ci credi? Beh, tu aspetta…

Così alle 23:40 del 30 aprile parto da casa equipaggiato da vero principiante:
- pantaloni lunghi da corsa, quelli che secondo Lauretta mi fanno sembrare Diabolik;
 - maglia tecnica a maniche lunghe e catarinfrangente, non si sa mai che le auto tentino di schiacciarmi;
- zaino da scuola con dentro di tutto: barrette energetiche, telo termico, fischietto, maglie e calze di ricambio, giacca antivento, macchina fotografica, telefono per le emergenze.
- torcia frontale (gentile dono di Federico, funziona perfettamente).
So già che il problema non sarà il passo da tenere, la difficoltà del percorso o il buio della notte. Il problema sarà – almeno inizialmente – l’ignoranza della gente.
Per i primi km, almeno fino al 4°, ho dovuto superare ragazzine sguaiate, balentes vellutati e signore maleducate, tutti accomunati da un unico sport: ridere di quello scemo che andava di corsa, dicendone di tutti i colori. Vabbè, anche questa a volerla interpretare, può essere metafora di fede. A quanto pare l’aveva già capito qualcun’altro svariate migliaia di anni fa, che la gente difficilmente si fa i cazzi propri:
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi (Mt 5,11-12)”.
Io mi rallegro ed esulto quando lì supero tutti e rimango, finalmente, da solo nel nulla. Così al buio posso sentire solo il rumore dei miei passi, guardare serenamente quella linea continua della Strada Provinciale sulla quale corro, illuminata giusto nei pochi metri che mi precedono dalla luce della mia frontale.
Poi però sbaglio incrocio, mi fiondo in una stradina sterrata completamente sbagliata e, prima di accorgermi dell’errore, la percorro per almeno 2 km. Mi volto e vedo le lucine dei pellegrini sull’altro versante della conca dove stiamo scendendo.
E lì ho detto tante di quelle bestemmie che forse non basterà arrivare a Compostela per farmele abbonare tutte.
Torno indietro e mi maledico, pensando che mi dovrò sottoporre nuovamente al supplizio del pubblico ludibrio. Vabbè, fai finta di nulla Marié, corri che ti passa.

Il secondo tratto di risate è pure peggio del primo, ma almeno ho occasione di sorridere, grazie ad un ragazzino sveglio.
Sul cavalcavia di Marreri una signora mi vede passare e si sente in dovere di riprendermi: “Qui si viene a pregare, non si viene a correre”. Fortunatamente sto zitto.
Le risponde un ragazzino che viaggia lì vicino: “E perché? Tu pregando stai?!”.
Supero facilmente i km di strada che costeggiano la S.S. 131 e arrivo alla croce che segnala l’inizio del tratto più duro. Ho fatto poco meno di 19 km, tutti su asfalto o su sterrato compatto, senza buche.
Intorno alla croce c’è un falò, qualche fedele stramazzato al suolo, qualcuno del priorato che ti offre da bere.
Chiedo dell’acqua, me la danno ma mi fanno notare che il bicchiere dell’acqua lo vendono a 30 euro, mentre il vino lo danno gratis. Sorrido, bevo l’acqua, ringrazio e riparto. Da qui inizia la parte divertente.




Sterrato, fango, buche, continui strappi. Mi accorgo che in discesa vado meglio che in salita, nonostante il buio. Se corro le ginocchia non si lamentano come quando cammino.
Purtroppo c’è foschia e luna calante, peraltro ancora bassa in cielo. Non si vede una mazza, così decido di optare per una saggia camminata veloce anche perché, se mi faccio male e aspetto il soccorso della signora anti-running, mi sa che posso stare fresco.
Sono talmente preoccupato dal torrente che dovrò superare al 21° km che non bado a dove metto i piedi, così finisco dritto dritto in una pozzanghera nascosta dall’erba, bagnando scarpe e calze.
Altra razione di bestemmie. Di questo passo mi toccherà cambiare fede per cercare altri pellegrinaggi.


Il torrente non crea problemi, non è in piena e il ponticello in pietra è praticabile. La sorpresa è tutta nello scoprire un gruppetto di quattro persone che mi precedono, sicuramente sono partite prima degli altri pellegrini. Le raggiungo che stanno cercando di capire da che parte andare.
Davanti a noi si aprono due strade. Quella a destra è piena di merda e delle vacche che l’hanno prodotta. Opto per la strada a sinistra, scatto, verifico che sia la strada corretta e quindi mi volto ad avvisare i quattro con un bel fischio e l’annuncio: “Ooooh, mì che è qua!”.
Per verificare la direzione ho cercato i segni lasciati nel corso degli anni dai pellegrini, soprattutto la presenza di pezzetti di nastro per cantieri, appeso qua e là tra i cespugli. Fino a quel punto ancora si poteva trovare, svolazzante su qualche arbusto. Nel tratto successivo non se ne vedrà più, la solita sfacciata fortuna.

Da solo, avamposto dei marciatori, mi inoltro nel tratto di poco più di un km che separa dal crinale delle colline che conducono a Lula. Si sale, in maniera ripida, tra due costoni. Il percorso consente il passaggio di una sola persona ed è fiancheggiato da due crepe nel terreno profonde due metri circa. Se ci caschi dentro sono guai, quindi cerco di fare attenzione e cammino badando unicamente ai 50 centimetri che precedono i miei piedi.
Purtroppo l’esplosione della primavera ha fatto crescere delle piante altissime, mi arrivano all’altezza del petto e non consentono di seguire il percorso già tracciato dai piedi di migliaia di pellegrini, nel corso degli anni precedenti.
Viaggiare da soli, di notte, mi avvicina molto all’infanzia e alla paura del buio. Ogni punto della macchia produce un rumore, certi uccelli notturni fanno dei versi allucinanti.
Ma niente di così spaventoso quanto le vacche. Le vacche? Ehm, si.

Una volta arrivati in cima ho dovuto procedere lungo la linea del crinale in direzione Lula, superando vari cancelli di alcune aziende agricole che hanno i pascoli su quei monti. Così, nel buio, mi sono d’improvviso ritrovato davanti a decine di lucine gialle che mi guardavano.
Io vedevo enormi cumuli di bistecche non ancora macellate, loro vedevano un alieno con un occhio giallo in testa. Sicuramente erano più spaventate loro, il rumore che hanno prodotto nella fuga è qualcosa di raggelante: ho pensato a Pamplona, al tumulto, ad altri corridori più folli di me: “Mamma, se queste fuggono nella mia direzione difficilmente riuscirò a raccontarla”.
Fortunatamente hanno preso la via dei Dodo, decidendo di immolarsi lungo il ripido pendio che si apriva sulla nostra destra.
Lo spavento mi fa aumentare l’andatura, cammino ad un passo allucinante per le condizioni alle quali procedo. Voglio solo arrivare alla fine dei pascoli, che dovrebbe coincidere con il famigerato “Pettorru de Tziu Moro”, una salita spacca gambe prima della Girandola, località dove solitamente i componenti del priorato offrono ristoro ai pellegrini.
O io vado troppo veloce o la crisi colpisce anche il priorato, perché alla Girandola non c’è nessuno. Procedo, tanto conosco la strada, ormai manca poco al ritorno sulla Strada Provinciale. Peccato che prima debba affrontare due cavalli, colpiti dallo stesso dramma esistenziale delle vacche.
Al 25° km finalmente ritorno sulla Terra. Quella che vedo è una lunga distesa di bitume, tutto in salita, ma pur sempre bitume. Mi ci fiondo sopra e ricomincio a correre, naturalmente al buio, che qui non c’è mica traccia di illuminazione stradale.
Manca poco al Santuario, circa 4 km da dividere equamente tra asfalto e sterrato. La faccio correndo quasi tutta, non per fatica che non mi consente di accelerare, ma per paura di mettere qualche piede in fallo, nefasta possibilità che mi consiglia di riportare a casa non solo la pellaccia, ma anche l’uso corretto di caviglie, ginocchia ed altre articolazioni.
Arrivo al Santuario di San Francesco dopo 30 km e 3 ore e 44 minuti di corsa/camminata. E’ immerso nel silenzio, probabilmente i membri del priorato dormono tutti nelle cumbessias che circondano la piccola chiesa. Del priore, che solitamente accoglie ogni singolo pellegrino, neanche l’ombra. Anche il portone della chiesa è chiuso, la prima messa si terrà alle 6 del mattino, almeno credo.

Così – nell’attesa della mia Santa Lauretta, che sta venendo a prendermi in auto, rinunciando al sonno delle 4 del mattino – mi limito a sorridere, guardarmi intorno e scattare qualche foto, immerso nella pace assoluta.






Santu Franzì” penso/prego, “te l’avevo detto e l’ho fatto. Ora tocca a te”.



2 commenti:

  1. bella esperienza Marieddu .... ma ora capisco : le chiappe non ti fanno male per aver corso sullo sterrato, ma perche le hai strette troppo forte per la paura !!!

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  2. Bravo Mario! fantastico relato! non potevi raccontarlo in modo migliore! e poi, mi fa anche un po' d'invidia! Grande amico!... io al tuo posto alla vecchia l'avrei mandato a ca...lpestare la cacca! :)

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