Sfigati i vincitori, forti abbastanza per vincere a casa, non abbastanza per vincere altrove, sfigati tutti gli altri, lì ad agitarsi su distanze strane, su percorsi anonimi di anonimi paesotti, impegnati solo nel correre contro se stessi.
Poi mia moglie ha deciso di regalarmi l’iscrizione ad una società locale - gli Amatori Nuoro – per la quale corrono quelli che, quotidianamente, vedo fuggire come il vento sulla pista del camposcuola.
E dopo il regalo la signora, furba e scaltra, ha anche deciso di diventare il mio procuratore: “Ti piace il regalo? Bene, il 14 c’è una gara ad Olbia. Andiamo dal sabato, così con la scusa possiamo andare al mare, vedere Adriana e Giuseppe a cena, poi la domenica passiamo a trovare Stefano e Sebastiana. Mi sembra un ottimo week end e i bambini si divertiranno di sicuro”.
Non penso che un rifiuto fosse contemplato, quindi ho accettato volentieri.
Così, a neanche un mese dal mancato Masterpiece romano, mi ritrovo di nuovo con un pettorale da appuntare (Il 27? E tutti gli altri dove sono?) e soprattutto con due incognite:
- Siamo proprio sicuri che devo usare quella canotta? Mi sembro un bambino del Biafra, magro, ma con la pelle bianchissima!
- Ma a quanto devo andare? Mica le so correre io queste distanze! Qui mi scoppio!
Al campo Caocci di Olbia incontro i componenti della società, ne conosco alcuni di vista, solo una di persona, peraltro collega di lavoro di Lauretta. Saluto, mi presento, ritiro il pettorale e inizio ad inseguire bimbi sulla pista di atletica. Fatto il riscaldamento. Stretching neanche a parlarne, che devo tenere Manuel mentre Lorenzo fa pipì su una siepe.
Al via ci capisco ben poco, tutti scavalcano tutti pur di partire avanti. Mi giro dietro e scopro che non c’è nessuno. Dai 15.000 di Roma ai 250 di Olbia ci dovrà pur passare qualche differenza.
La collega di Laura mi invita a seguire Orlando, un altro della società: “Vai con lui che ce la fai!”
“Non credo” rispondo io “se vado al suo passo minimo scoppio”. Lo dico senza neanche conoscerlo, così a naso capisco che va più forte di me.
Lo start avviene con uno sparo, ma non è lo start vero. Si deve fare un giro di campo tutti assieme, per commemorare degli atleti defunti, la gara partirà al secondo giro. Al secondo giro? Non faccio in tempo a pensarlo che ho già lasciato partire il GPS, mentre assisto al dialogo tra due tizi che mi precedono:
“Ma non doveva essere un giro tutti assieme” dice uno.
“Eia, vallo a dire a quelli davanti, che a quel passo se lo fanno da soli” risponde l’altro.
Orlando mi ha già lasciato 20 metri. Su 200 di pista. Vabbè, ma a quanto vado? Il GPS mi dice 4’07” di media. Ma che siete matti? E questo è il giro commemorativo? E appena lo finite che fate, concorrenza a Tergat?
Decido di andare per la mia strada a sensazione, così dopo neanche 400 metri ho già trovato risposta al quesito n. 2.
Si esce dallo stadio e si gira per le vie principali di Olbia. Orlando ormai è scomparso, in compenso vedo un altro della società, che ho spesso visto al campo. Mi precede di 50 metri. So per certo che mi svernicia su qualunque distanza, quindi non lo prendo come punto di riferimento, ma fino al 4 km il suo cappellino bianco è sempre lì davanti, metro più metro meno.
Il problema è che io le power bumbazze le ho sempre fatte in atmosfera protetta: camposcuola, a girare in tondo, senza svolte e senza salite.
Quando ho visto il cavalcavia che ci portava in zona porto ho pensato testuali parole: “malabagassaditòsuredda”.
Dopo il cavalcavia, però, ho trovato risposta al quesito n. 1: correre in canotta è una figata, perché sembrerò anche un bimbo malato, ma almeno prendo un sacco di aria fresca, soprattutto dopo le salite impegnative.
Dalla zona porto si arriva in centro, non prima di aver superato una rotatoria dove tutti tagliavano sulla parte interna, pavimentata con sampietrini. Sampietrini? E no, balla, io per almeno un anno non ne voglio calpestare altri, quindi faccio il giro largo!
Arriviamo al Corso e scopro che le chiacchere di alcuni runners durante il riscaldamento erano fondate: la salita lì è pesante. E vabbè. Ormai il cappellino bianco è scomparso all’orizzonte, anche in una gara di 250 persone sono riuscito a restare solo. Dietro me non so, davanti a me per almeno 50 metri non c’è un anima.
Mi precede una ragazza che, già dalla partenza, sta macinando km ad un ritmo splendido. Anche io però non vado male, sono a 4’04” nonostante le salite. Se scoppierò lo farò più in là.
Al 5° km mi passa un arzillo vecchietto, credo sui 60 anni. Passa anche la ragazza, che nel frattempo ho avvicinato. Ma dimmi te, io nel fiore dell’età e quello mi svernicia? Dai, questa non la racconterò mai.
Arrivati dalle parti del parco mi illudo che sia quasi finita, invece scopro che manca un’ultima salita, viale Aldo Moro, sulla quale ovviamente pago pegno. Volevo accelerare negli ultimi due km, ma decido di aspettare la discesa del km finale. Peccato che probabilmente tutti abbiano fatto la stessa considerazione, perché all’ultimo km sembrano tutti morsi dalle tarantole.
E tira e spingi e spingi e tira riesco a passare la ragazza (che poi sarà la vincitrice di categoria delle master 45), mettendomi in scia del vecchietto sessantenne che mi aveva sverniciato al 5° (all’arrivo sarà il secondo della categoria master 60). Mi dispiace zio, ma la soddisfazione non te la lascerò e ti passerò in volata.
Entro nel parco e finalmente anche la mia Lauretta ha la sua rivincita: è lì che mi aspetta con i bimbi, fa il tifo e agita Lorenzo che grida “Forza Babbo!”. Manuel no, stava sradicando una recinzione. Vabbè…
Si entra al campo Caocci per gli ultimi 200 metri. Mi sembra di volare, spingo come un matto, prendo il vecchietto intorno ai 120 metri dal traguardo e lo passo sull’esterno! Trionfo!
Agli 80 metri sento un scalpiccio insistente, mentre la folla ai lati inizia ad incitare qualcuno per nome e non sono io. Mi volto a lato e accade la cosa più figa di tutta la giornata: un vecchietto ancora più vecchio del precedente mi sta tirando la volata! Cerco di tenere ma quello va come un fulmine! Mi batte con almeno due metri buoni di vantaggio, tutti presi in volata!
Il vecchietto è il vincitore della categoria Master 65 e mi ha regalato la gioia di una gara memorabile, facendomi capire quanto sbagliassi: anche le “garette locali” hanno un loro perché, tutto da cercare in queste piccole estemporanee sfide con chissà chi.
Taglio il traguardo e un tizio si butta davanti a me, mi urla contro: “mani in alto, mani alto!” Che è una rapina? C’ho solo il GPS e lo devo pure fermare! Ecco, credo fosse un giudice che non riusciva a leggere il numero di pettorale, visto che ci armeggiavo davanti con le mani.
Chiudo la gara da distanza variabile 8-8equalcosa con 4’04”/km di media. Wow, in atmosfera protetta avevo fatto 4’05”/km! Sono andato egregiamente!
Buone corse a tutti!!!
Spassosissimo racconto Marieddu. Bravo
RispondiEliminaBravo Mà ... le garette locali sono sempre le più divertenti anche per me.
RispondiEliminaGrazie Mario per questo racconto. Non so perchè ma vedo la scena in cui Laura agita Lorenzo e Manuel sradica la recinzione.... :D
RispondiEliminaComplimenti!
Divertente come sempre Mario. Che poi la particolarità delle gare podistiche in sardegna e che tutti, ma proprio tutti corrono alla morte e, se possono, ti sverniciano all'ultimo metro senza rispetto di età o sesso. Complimenti ancora per la gara!
RispondiEliminaBravo Mario, bella prestazione e bellissimo racconto. Io come Paolo immagino la scena di Laura con Lorenzo e Manuel anche se non li conosco di persona! :) Le gare "piccole" per denominarle in questo modo, sono veramente belle, soprattutto se in paesi o zone sperdute. ce la mettono tutta per organizzare e gli atleti per sverniciare il prossimo!!! Complimenti e grazie per il racconto!
RispondiElimina